Istituto Comprensivo Gozzi Olivetti

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Camillo Olivetti


Camillo Olivetti (qui ritratto da Jins) da il nome alla nostra scuola secondaria.
da wikipedia apprendiamo che

 

Camillo Olivetti (Ivrea, 13 agosto 1868 – Biella, 4 dicembre 1943) è stato un ingegnere e imprenditore italiano, fondatore dell'azienda Olivetti.
Nacque nel 1868 in una famiglia della borghesia ebraica di Ivrea. Il padre era un commerciante di tessuti, impresa che aveva ereditato dagli avi, la madre, Elvira Sacerdoti, originaria di Modena, era figlia di banchieri[1]. Dalla linea paterna, Camillo Olivetti ereditò lo spirito imprenditoriale e l'amore per il progresso, dalla madre una cultura non provinciale e l'amore per le lingue (Elvira ne parlava quattro). Quando Camillo aveva solo un anno, morì il padre. Ad occuparsi di lui fu la madre, che lo affidò al collegio convitto «Calchi Taeggi» di Milano.
Al termine del liceo, si iscrisse al Regio Museo Industriale Italiano (poi Politecnico di Torino dal 1906) e alla Scuola di Applicazione Tecnica, dove frequentò i corsi di elettrotecnica tenuti da Galileo Ferraris. Laureatosi in ingegneria industriale (31 dicembre 1891), Camillo sentì da una parte l'esigenza di perfezionare il proprio inglese e, dall'altra, di fare un'utile esperienza lavorativa. Soggiornò oltre un anno a Londra dove si impiegò in un'industria che produceva strumentazione elettrica, facendo anche il meccanico.
Al suo ritorno a Torino, divenne assistente di Ferraris. Nel 1893 accompagnò negli Stati Uniti il suo maestro, che era stato invitato a tenere una conferenza al Congresso Internazionale di Elettrotecnica di Chicago. Olivetti gli fece da interprete. Insieme visitarono i laboratori Thomas A. Edison al Llewellyn Park, nel New Jersey, dove incontrarono di persona il brillante inventore americano. Dopo tale incontro, nel 1893, Camillo scrisse al cognato Carlo da Chicago:
«  13 agosto 1893. (...) Adesso che ti ho dato qualche impressione sulla città, ti dirò come vi ho passato il mio tempo. (…) Il sig Hammer ci condusse a Llewellin Park, distante una mezz'ora di ferrovia da New York a vedere il laboratorio di Edison. Il sig. Edison in persona ci venne a ricevere e fece con noi un po' di conversazione e ci eseguì sul suo fonografo alcuni pezzi di musica. Come vedi ho cominciato presto a far la conoscenza di persone celebri. Edison ha là a Llewellin Park un enorme edificio che come la maggior parte degli edifici industriali e privati di qui è in legno. Là oltre una bellissima biblioteca e un magazzino in cui tiene un po' di tutto ha un enorme laboratorio con una settantina di cavalli di forza motrice, macchine, dinamo elettriche, torni, macchine utensili, un gabinetto completo di fisica ed uno di chimica, un gabinetto fotografico e persino un teatro dove sta facendo esperienze, che pare fino adesso non riescano molto, sul cinematografo. È aiutato da un numero grande di assistenti e qualunque cosa gli salti in mente di costruire lo può fare senza difficoltà. Edison è un bell'uomo, alto e tarchiato dalla faccia napoleonica. È gentile ma essendo piuttosto sordo, e d'altra parte non essendo il prof. Ferraris capace per il momento né di intendere, né di spiegarsi molto in inglese, la conversazione non fu molto animata.(…) »
(Camillo Olivetti, Lettere Americane, Fondazione Adriano Olivetti, 1968-1999)
Camillo continuò da solo il viaggio da Chicago a San Francisco, annotando scrupolosamente le cose che andava scoprendo sugli Stati Uniti[2]: se già la situazione industriale inglese lo aveva colpito, trovò la realtà americana assai superiore, non solo dal punto di vista industriale ma anche sociale. Alcuni mesi passati a Palo Alto gli fecero conoscere le università americane. Come assistente di elettrotecnica alla Stanford University (novembre 1893 - aprile 1894), Olivetti ebbe modo di sperimentare in laboratorio le potenzialità e le diverse applicazioni dell'uso dell'elettricità.
Tornato in Italia, si mise in società con due ex compagni di università e fece l'importatore di macchine per scrivere e biciclette. Successivamente concepì l'idea di fondare un'azienda per produrre e commercializzare strumenti di misurazione elettrica, principalmente per laboratori di ricerca. Nacque così ad Ivrea nel 1896 la «C. Olivetti & C.». Gli inizi della sua attività industriale non furono produttivi. Olivetti capì che doveva cambiare target di mercato (dai laboratori di ricerca alla nascente industria elettrica). Nel 1903 la fabbrica si trasferì a Milano e l'anno successivo a Monza, diventando C.G.S. (dalle iniziali di Centimetro-Grammo-Secondo, nome di un vecchio sistema di misura elettrodinamico). Nella compagine societaria entrò in seguito la Edison, il più grande produttore italiano di energia dell'epoca, oltre ad un'importante banca d'affari.
Ben presto Olivetti si sentì prigioniero di quei soci finanziari, che non gli consentivano di svolgere, parallelamente alla produzione, quell'attività di ricerca che riteneva indispensabile. Fu quella l'ultima volta che non ebbe la maggioranza assoluta delle quote di una società. Era partito per Milano con una quarantina di operai, con gli stessi tornò a Ivrea nel 1908, dove impiantò la prima fabbrica in Italia di macchine per scrivere. Anche nella scelta del nome della ditta tornò al passato: «Ing. Olivetti & C.» con l'aggiunta "prima fabbrica nazionale di macchine per scrivere". L'azienda, destinata a divenire celebre come Fabbrica di mattoni rossi, ebbe un rapido sviluppo. Attento a selezionare, formare e valorizzare operai di talento, Olivetti scelse tra loro i quadri aziendali che contribuirono al successo dell'impresa. L'officina riprendeva solo esteriormente i modelli dell'epoca, poiché la sua struttura, dietro ai mattoni canavesani, era composta dall'allora avveniristico cemento armato.
 
 
Ivrea, la storica fabbrica in mattoni rossi
Il primo modello di macchina, la Olivetti M1 (1908), fu interamente progettato da lui, assieme ad alcune macchine utensili per la produzione delle parti componenti. Olivetti la perfezionò dopo aver compiuto altri due viaggi degli Stati Uniti (dove comprò macchinario prodotto in loco ed esaminò il livello della concorrenza). A quel punto fu pronto ad entrare in produzione. I primi tempi furono difficoltosi sul piano finanziario, dal momento che per tre anni dalla fabbrica uscirono unicamente prototipi. Trovò allora dei soci di capitale non invadenti[3]; con essi arrivarono anche le prime commesse e la presentazione all'Esposizione Universale di Torino (1911) per il cinquantenario dell'Unità d'Italia. Oltre alla M1, venne presentato uno spaccato funzionante dell'officina di Ivrea.
La svolta decisiva per la Olivetti fu il primo conflitto mondiale: non furono tuttavia i superprofitti a fare la fortuna dell'Olivetti, ma la produzione tecnologicamente avanzata per l'aeronautica. Anche i velivoli inglesi impiegarono parti prodotte dalla Olivetti. Il dopoguerra vide la Olivetti produrre la M20, una macchina per scrivere sempre più perfezionata, il cui successo consentì a Camillo di attuare il suo progetto commerciale, basato soprattutto sull'assistenza alla clientela mediante filiali. La prima filiale fu quella di Milano, cui seguirono i principali centri italiani ed esteri. Tale strategia gli consentì di battere la concorrenza internazionale (americana e tedesca principalmente), giocando non sul prezzo ma sulla qualità.
Nel 1925 entrò in azienda Adriano Olivetti, il secondo dei suoi figli[4] - dopo aver compiuto anch'egli un viaggio negli Stati Uniti. Quell'anno Camillo si avviava verso la sessantina e, dovendo pensare alla successione, pretese che i figli maschi (Adriano e Massimo) facessero la gavetta in fabbrica (Dino, l'ultimo della famiglia, era ancora troppo giovane). Le caratteristiche produttive della fabbrica furono caratterizzate dalla totale indipendenza nella componentistica rispetto all'allora ristretto mercato italiano. Si pensi che anche le viti venivano prodotte in fabbrica. Per produrre in proprio le macchine utensili nacquero, nel 1926, le fonderie e l'Officina Meccanica Olivetti (OMO). Quest'ultima divenne in seguito un'unità produttiva indipendente sul mercato, anche dalla casa madre.
In seguito Olivetti diede impulso al primo nucleo della ricerca e sviluppo: con la OMO, e negli stessi locali, nacque il Centro Formazione Meccanici, una delle prime "scuole di fabbrica" in cui non si insegnarono solo nozioni tecniche, ma anche cultura generale e cultura politica. All'inizio degli anni trenta fu potenziata la struttura distributiva all'estero. Nel corso del decennio furono prodotti i primi modelli di mobili per ufficio "Synthesis", le prime telescriventi e macchine per calcolo. Nel 1933 il figlio Adriano fu nominato amministratore delegato; a partire da quell'anno Camillo fu affiancato e progressivamente sostituito alla guida della società. Olivetti lasciò la presidenza della società nel 1938, conservando la sola direzione dello stabilimento macchine utensili.
Nel secondo dopoguerra, Adriano seppe condurre la Olivetti alla posizione di leader nel settore delle macchine d'ufficio - assorbendo anche, nel 1959, la Underwood Americana, suo principale concorrente - ed a farla diventare un'azienda capace di produrre cultura nei campi del design, dell'architettura industriale e dello sviluppo della responsabilità sociale d'impresa, in termini di relazioni sociali con i lavoratori e di rapporti con il territorio. In politica, Camillo Olivetti fu di fede socialista liberale: finanziò (prima dell'avvento del regime fascista che appoggiò sino alle leggi razziali) la diffusione di periodici di dibattito politico, contribuendovi personalmente con non pochi scritti.
Amico di Filippo Turati, il 4 dicembre 1943 morì all'ospedale di Biella, città ove era stato costretto a riparare per sfuggire alle leggi razziali: al funerale partecipò una nutrita folla di operai, giunta spontaneamente da Ivrea sfidando la sorveglianza del regime. In lui la città di Ivrea trovò un imprenditore coraggioso e capace che seppe portare l'industria da lui creata fra le prime nei mercati mondiali.

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